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Cosa significa petaloso

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petaloso

Non è trascorso ormai molto tempo da quando il termine petaloso ha fatto il suo ingresso nello scenario linguistico italiano. Molte sono state le polemiche a riguardo, allorquando c’era chi escludeva a priori l’esistenza del termine, e chi invece cercava una traccia in antichi testi per capire se forse fosse passato inosservato nel corso della storia.

A dimostrazione di ciò, non poteva dunque fare altro che intervenire l’Accademia della Crusca, che dopo aver letto attentamente il contesto in cui il termine era stato coniato, ha deciso di inserirlo ufficialmente nel vocabolario della lingua italiana, decretandone addirittura il significato. Ma cosa significa petaloso e come è nato l’aggettivo?

La discussione sul nuovo termine coniato

Molte sono state le discussioni, qualche anno fa, in merito alla coniazione di un nuovo vocabolo, che aveva destato interesse e curiosità in ogni ambito possibile e immaginabile della cultura italiana. Dopo molte polemiche a riguardo, si era giunti alla conclusione che si potesse utilizzare il termine come un aggettivo che non facesse riferimento solo ai fiori. Anzi, la qualità poteva valere anche per altri oggetti inanimati non dotati di fiori.

Durante la diatriba linguistica, si è provato comunque a dare un significato al termine petaloso, che dopo l’ingenuità di un bambino, è finito con il fare impazzire tutta l’Italia.

Come nasce l’aggettivo petaloso

A coniare il termine fu un bambino di 8 anni, Matteo, il quale riceve dalla maestra una semplice domanda “come descriveresti un fiore?”. La mente geniale del bambino, che forse era stanco dei soliti epiteti scontati, ha avuto un lampo di fantasia e ha esclamato “un fiore è petaloso”. La genuinità e la spontaneità della sua nuova parola, ha spinto la maestra alla curiosità fino a scrivere alla Crusca.

Al contempo, Matteo dopo poco, ha ricevuto una lettera proprio dall’Accademia della Crusca, dove si parlava appunto del nuovo neologismo venuto fuori per caso.

Secondo il bambino fantasioso, che all’epoca frequentava la terza elementare in una scuola della provincia di Ferrara, il termine richiama qualcosa pieno di petali. Il suono dolce dell’aggettivo ha dunque spinto alla maestra a scrivere alla Crusca per avere una valutazione. Dopo tanti complimenti è giunto infatti il responso: “petaloso è un termine ben formato, che rispecchia i mille parametri della lingua italiana”.

Se fino a qualche anno fa il termine non esisteva oggi invece ha il pieno riconoscimento dell’Istituto Nazionale per la salvaguardia e lo studio della lingua italiana. Fino a che non hanno deciso di inserirlo nei dizionari della lingua italiana.

La risposta della Crusca

L’Accademia della Crusca ha scritto al piccolo Matteo, dicendogli che la sua “E’ una parola ben formata, chiara e bella, che potrebbe essere utilizzata nella lingua italiana, come le altre parole formatesi nel medesimo modo”.

L’ente per la lingua italiana non ha tardato a dare riscontro al bambino, il quale si è detto ampiamente soddisfatto di quanto coniato.

E infatti una impegata dell’Accademia ha scritto al piccolo Matteo nel dettaglio cosa sarebbe accaduto al termine inventato:

Caro Matteo,

la parola che hai inventato è una parola ben formata e potrebbe essere usata in italiano così come sono usate parole formate nello stesso modo.

Tu hai messo insieme petalo + oso > petaloso = pieno di petali, con tanti petali

Allo stesso modo in italiano ci sono:

pelo + oso > peloso = pieno di peli, con tanti peli

coraggio + oso > coraggioso = pieno di coraggio, con tanto coraggio”.

La sua parola viene descritta come bella e chiara, ma al contempo gli viene spiegato anche come fa un termine ad entrare nei vocabolari, non certo all’improvviso.

Pare che una parola nuova, pure se dolce al suono ed utile nella lingua parlata, non basta ad inventarla per farla entrare nel dizionario. Affinché venga riconosciuta essa deve cominciare ad essere usata da tante persone e che le stesse imparino anche a capirla. La Crusca ha invitato a diffondere la parola tra le persone e se qua e là inizia l’uso del termine, l’Accademia considererà l’idea di inserirla nel dizionario. Per cui a Matteo è bastato davvero poco per essere felice: in poco tempo la parola è volata di bocca in bocca, scatenando la fantasia del web, e camminando in ogni settore culturale, dall’arte alla musica alla politica (a suo tempo l’allora premier Matteo Renzi si era complimentato con il bambino per l’estro fantasioso).

Ovvio dunque che così funzioni l’arricchimento della lingua italiana: belle o brutte che siano le parole devono prima diffondersi e poi essere inserite nel lessico della nostra cultura linguistica. Solo in quel caso agli studiosi capiscono che la parola serve davvero e se merita un posto all’interno dell’immaginario lessicale italiano.

Dalla Crusca scrivono infine a Matteo “spero che questa risposta ti sia stata utile e ti suggerisco ancora una cosa: un bel libro, intitolato Drilla e scritto da Andrew Clemens. Leggilo, magari insieme ai tuoi compagni e alla maestra: racconta proprio una storia come la tua, la storia di un bambino che inventa una parola e cerca di farla entrare nel vocabolario”.