Quando parliamo di lutto e di elaborazione, si deve fare un piccolo preambolo sulla morte. Non dovrebbe essere un argomento tabù, quando piuttosto un concetto da capire approfondire e soprattutto accettare.
Invece la prima cosa che facciamo dinanzi ad un fine vita è il diniego, la mandata accettazione, per cui spesso ci si pone in una posizione di limbo, a metà tra il dolore e l’incredulità di quanto accaduto.
Il lutto naturale
La morte di una persona cara è un passo necessario, indispensabile, che almeno una volta si prova nella vita. La perdita di un amore, che scatena nel nostro cuore sconforto e dolore, non è facile da affrontare. Di solito comunque, l’elaborazione del lutto avviene spontaneamente, un passo alla volta, in maniera naturale grazie a delle fasi progressive e concatenate, che quantomeno aiutano ad accettare quanto accaduto.
Tuttavia succede spesso che una persona più fragile e sensibile tenda a non rassegnarsi all’idea dell’assenza fisica di quella persone, per cui da sola non riesce a superare la drammaticità.
La qual cosa vuol dire inevitabilmente sfociare nel cosiddetto lutto patologico, che impedisce di continuare a vivere in maniera serena e sana.
Le 4 fasi della elaborazione del lutto
Diciamo pure che il lutto non si inizia ad elaborare finché non si svolgono le esequie della persona cara. Dopo essersi rivolti infatti ad un’agenzia di onoranze funebri, come www.ofisa.it, c’è tutto il funerale da organizzare, pertanto il dolore non viene ampiamente controllato e vissuto come lo si farà in un secondo momento.
Il processo naturale di elaborazione del lutto è suddiviso in 4 fasi. Queste ultime furono individuate dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kubler Ross, ritenuta tra le più abili esperte di studi sulla morte. La prima fase è quella dello stordimento e dello shock. Si innescano dei meccanismi emozionali fatto di negazione dell’evento e che addirittura può perdurare anche nei giorni a seguire. Al che inizia la seconda fase, ovvero una ricerca fisica e morale della persona defunta, il tutto accompagnato da sentimenti di ansia e colpevolizzazione.
Ben presto l’ansia, il farsene una colpa si trasformano in rabbia e in alcuni casi anche in depressione. Seguiranno comportamenti apatici, disperati, momenti continui di tristezza. La voglia di circondarsi di persone sarà pari a zero. Lentamente però chi soffre comincia a farsene una ragione, riagguanta la propria vita, riprendendo i propri interessi e le priorità per il futuro.
L’aiuto della psicologia a chi soffre di lutto patologico
Abbiamo spiegato poc’anzi che ci sono situazioni in cui c’è una mancata accettazione della cosa talmente forte da finire per ammalarsi di lutto patologico. In quel caso, la persona non è in grado di elaborare da sola il lutto.
Ragion per cui potrebbe essere necessario l’intervento esterno di un professionista. Lo psicologo infatti riesce a far capire alla persona che c’è bisogno di effettuerà un rituale di separazione per far sembrare meno drastico questo irreversibile distacco. In quell’occasione darà a chi soffre degli esercizi, dei gesti da compiere (come andare al cimitero, scrivere una lettera, descrivere ciò che provava) affinché possano emergere tutte le emozioni, i pensieri, i sentimenti che prova.
Il professionista spinge il paziente a separarsi dall’idea fisica della persona amata con un ringraziamento per tutti i momenti che sono stati vissuti insieme. Chiederà lui di ringraziare per la vita trascorsa con lui/lei finché il dolore non si tramuti in una sorta di gratitudine.
Infine, lo psicologo fa entrare la persona nell’ottica che la sua unica ancora risiede nella propria forza interiore. I momenti possono essere superati solamente sfruttando le proprie risorse. Lo specialista darà al paziente delle motivazioni per continuare a vivere.
Se non esiste per chi vive il lutto una qualcosa a cui aggrapparsi (e un qualcuno) facilmente rischierà di cadere nella trappola della solitudine. Non riuscirà a giungere alla naturale rassegnazione, ma si crogiolerà continuamente in quella mancata accettazione dell’unica cosa cui l’uomo non può porvi rimedio: la morte.